(Trieste 1888 - monte Podgora 1915) scrittore italiano. Ancora liceale, fu introdotto negli ambienti irredentisti e socialisti di Trieste dal suo maestro e amico F. Pasini. Trasferitosi a Firenze nel 1908 per frequentare l’Istituto di studi superiori, cominciò a collaborare con le Lettere triestine a «La Voce», di cui (dopo un viaggio in Austria e in Germania fertile di esperienze umane e culturali) divenne segretario di redazione per pochi mesi, dal dicembre 1911 al marzo 1912. Lasciato l’incarico in seguito a uno scontro con Papini, scrisse novelle per ragazzi sul «Giornalino della domenica» di Vamba (L. Bertelli); intanto traduceva la Giuditta (1910, in collaborazione con M. Loewy) e il Diario (1912) di F. Hebbel, curava un’edizione dell’Epistolario di T. Tasso (1912) e portava a termine la sua tesi di laurea su Ibsen che, discussa nel dicembre 1912, uscirà postuma nel 1917. Sempre nel ’12, ancor prima della laurea, era apparso presso le edizioni della «Voce» il suo libro più famoso e significativo: Il mio Carso, un’opera autobiografica che può considerarsi il capolavoro della prosa lirico-evocativa teorizzata e perseguita dai vociani e dove, procedendo per bagliori di memoria, per frammenti di bruciante intensità, S. ricostruisce le tappe fondamentali della sua maturazione. Sposatosi a Trieste nel 1913, si trasferì ad Amburgo, come lettore d’italiano presso il Kolonial Istitut; nel ’14 era di nuovo a Trieste e poi a Roma per organizzare la propaganda interventista; nel maggio del ’15 partì volontario per il fronte carsico, dove venne ucciso sul Podgora. I suoi articoli e il suo epistolario furono raccolti postumi da G. Stuparich: Scritti letterari e critici (1920), Scritti politici (1925), Lettere (3 voll., 1931).